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LA SFIDA DELLE CLASSI DIRIGENTI “PIÙ MERITO E CONCORRENZA” di Sergio Rizzo

Tratto da: “Corriere della Sera” – 18 aprile 2009. Per gentile concessione di Sergio Rizzo. www.corriere.it Riprodotto da The European House–Ambrosetti esclusivamente per la sessione sul tema: “Come promuovere il merito in Italia e in azienda” – Milano, 5 maggio 2011.

pagina 13 18 aprile 2009

Le priorità per il Paese

Il rapporto illustrato da Montezemolo

La sfida delle classi dirigenti «Più merito e concorrenza» ROMA — Si potrebbe definire il «metodo Sergio Marchionne»: l’amministratore delegato della Fiat che, ha detto il presidente del Lingotto Luca Cordero di Montezemolo, «non è stato certamente scelto perché era figlio di qualcuno o della zia di qualcuno». Che debba funzionare così è perfino ovvio. E il messaggio contenuto nel terzo rapporto «Generare classe dirigente» realizzato dall’Università della Confindustria Luiss e da Fondirigenti è chiarissimo. La crisi economica può diventare l’occasione per passare «a una concezione del merito come virtù pubblica». Una virtù ancora troppo spesso estranea a molte parti della società. Soprattutto, estranea alla politica, della cui «invadenza» Montezemolo vede «il continuo proliferare», e non soltanto perché «senza l’appoggio della politica non si diventa primari», ma perché si moltiplicano «le aziende pubbliche che fanno concorrenza ai privati con il denaro pubblico e che servono solo come discarica per i politici trombati». «Regole, merito, concorrenza, solidarietà: sono i temi su cui lavorare — spiega Montezemolo — per cogliere la sfida del cambiamento e metterci nelle condizioni per vincere». Il merito, dunque. Sempre quello è il problema italiano. Questa volta, però, nel rapporto dell’ateneo diretto da Pier Luigi Celli, si scorge anche qualche segnale di ottimismo. I 2.100 intervistati, rappresentativi dell’intera popolazione italiana e di varie categorie sociali, lascia-

no intendere che «l’applicazione estesa del merito può aiutare a uscire dalla fase di crisi attuale». Ma la maggioranza esprime anche una valutazione positiva delle «esperienze formative» avute «rispetto all’immagine mediamente negativa che fa parte della cultura del Paese quando si parla di istituzioni scolastiche e universitarie». Insomma, dalle 516 pagine del documento emerge anche la fotografia di una classe dirigente che vuole mettere da parte il pessimismo. E di un Paese che pur senza farsi illusioni sulla rapidità «dell’entrare in una vera e propria stagione del merito», mostra una cultura collettiva più matura in tema di meritocrazia. Un esempio? Il 72,7% degli intervistati afferma che nel suo ambito professionale il principio del merito è comunque applicato. Anche se l’applicazione varia enormemente da categoria a categoria. Soltanto il 20,9% sostiene che si fa carriera politica per merito. Una percentuale che sale appena al 22,9% per il sindacalista e al 26,2% per il dirigente pubblico. Per quanto riguarda l’esperienza nelle aziende, il 55,6% si dice sicuro che il merito sia applicato in maniera «molto o abbastanza» estesa. Mentre il 48,9% dei dirigenti d’azienda afferma di aver «utilizzato» nell’esperienza professionale «decisamente più il criterio del merito» e appena l’1% dichiara di essersi fatto aiutare per la carriera dalle «conoscenze e dalle appartenenze». Il che non vuol dire che il

sistema di relazioni non conti qualcosa. Secondo il rapporto uno dei fattori di maggiore freno della concorrenza e del merito è l’esistenza di una «net elite» di mezzo milione fra manager, giornalisti, politici e accademici. Una «oligarchia di ventura», per usare le parole di Celli, che blocca i processi di rinnovamento grazie al meccanismo delle «porte girevoli». Un parlamentare su dieci è giornalista e uno su quattro fa il manager. Due giornalisti su cinque e un politico su tre rivestono almeno due posizioni professionali. Lo stesso vale per due professori su tre. I docenti universitari, inoltre, sono una categoria particolarmente colpita dall’invecchiamento medio: il numero di ordinari di età superiore ai 55 anni è passato dal 44% del totale nel 1985 al 69,6% del 2005. A testimonianza dei problemi che affliggono il nostro sistema educativo. Il rapporto ricorda che il 63% degli insegnanti in ruolo nella scuola secondaria superiore «non ha mai superato un concorso». Effetto delle varie sanatorie succedutesi in un sistema che è ancora piuttosto refrattario alla meritocrazia anche nel caso della valutazione degli allievi. «In Italia», dice ancora il rapporto, «il tasso di promozione all’esame di maturità è stato, nel 2007, pari al 93,4%. Lo stesso tasso è del 70% negli Stati Uniti, del 77% in Germania, dell’83% in Francia e dell’89% in Spagna».

Sergio Rizzo